Età avanzata, livelli elevati di dolore percepito e di vertigini, ridotta qualità della vita legata allo stato di salute, impiego di farmaci psicotropi: questi, secondo uno studio pubblicato su Rheumatology i fattori di rischio associati a maggior rischio di cadute nei pazienti affetti da artrite reumatoide (AR).
Lo studio ha identificato anche dei fattori biomeccanici di rischio caduta nei pazienti sottoposti a valutazione dell’andatura: tra questi si segnalano una lunghezza del passo più breve, una ridotta torsione e forza nella flessione del ginocchio e un maggior ondeggiamento anteroposteriore e mediale-laterale.
Razionale e disegno dello studio
Le cadute rappresentano una causa principale di morbi- mortalità negli adulti in età avanzata, soprattutto in quelli affetti da AR. Per chiarire le caratteristiche cliniche e biomeccaniche legate a questo fenomeno, i ricercatori hanno condotto uno studio prospettico su pazienti curati presso una clinica reumatologica del Regno Unito.I pazienti eleggibili allo studio avevano un’età uguale o superiore a 60 anni e una diagnosi clinica di AR, e sono stati reclutati tra il 2012 e il 2014; ciascun paziente è stato seguito fino ad un anno dalla valutazione iniziale.Al reclutamento, i partecipanti allo studio hanno completato una survey che includeva domande relative all’età, al sesso, allo stato civile e occupazionale, all’attività fisica, al dolore percepito e alla fatigue (entrambi misurati su scala VAS), all’esperienza di vertigini auto-riferita, alla qualità di vita legata allo stato di salute (EuroQoL-5 Dimensioni) e alla storia pregressa di cadute nel corso degli ultimi 12 mesi.I partecipanti allo studio sono stati seguiti a cadenza mensile per un anno per la valutazione dell’incidenza di cadute.Una coorte “controllo” di partecipanti allo studio, andata incontro o meno a cadute, è stata sottoposta a valutazione biomeccanica del range articolare di movimento, della forza muscolare e dell’andatura a piedi.A livello più propriamente statistico, sono stati utilizzati modelli di regressione multivariata per identificare i correlati di cadute precedenti, mentre si è fatto ricorso alla statistica descrittiva per mettere a confronto le caratteristiche biomeccaniche dei pazienti con e senza incidenza di fratture.La coorte in studio ha incluso 436 pazienti con AR, 200 dei quali (pari al 46%) presentavano una storia di cadute nei 12 mesi precedenti il reclutamento nello studio. L’età media dei pazienti con una storia di cadute era pari a 73,2±7,9 anno; l’età media dei pazienti senza storia di cadute, invece, era pari a 71,4±6,8 anni.Il 73% dei partecipanti allo studio del gruppo “cadute” era rappresentato da donne rispetto al 65% dell’altro gruppo.
Risultati principali
Rispetto ai pazienti senza storia di cadute, quelli con una storia di cadute erano in età più avanzata (OR= 1,04; IC95%= 1,01-1,07; p=0,05), più frequentemente celibi/nubili (OR= 1,73; IC95%= 1,06-2,86; p =0,03), affetti da vertigini (OR= 2,46; IC95%= 1,56-3,91; p <0,01), e tendevano ad assumere farmaci psicotropici (OR=1,82; IC95%=1,09-3,05; p =0,02).I pazienti con storia di cadute, rispetto a quelli senza storia di cadute, presentavano punteggi medi VAS di dolore percepito più elevati (OR= 1,02; IC95%=1,01-1,03; p <0,01).
Una storia di cadute non è risultata significativamente associata, invece, al sesso, allo stato occupazionale, ai livelli di attività fisica in ambito domestico, ai punteggi VAS relativi alla fatigue, alla diagnosi di Parkinson, ad una storia di ictus pregresso o all’assunzione di 4 o più farmaci diversi (p>0.05).La coorte “controllo” includeva 30 pazienti andati incontro a cadute durante il follow-up e 30 pazienti non andati incontro a caduta.La mediana del numero di cadute era pari a 2 (IQR: 1-3,75). Il BMI, lo stato occupazionale e quello civile non differivano tra i due gruppi.Dall’analisi dei dati è emersa l’esistenza di differenze biomeccaniche notevoli tra le due tipologie di pazienti in studio: nello specifico, i pazienti che avevano sperimentato “cadute” mostravano un ondeggiamento posturale significativamente più elevato e un’ampiezza di questo ondeggiamento sia in direzione anteroposteriore che mediolaterale (p<0,05).Non solo: i pazienti andati incontro a “cadute”, rispetto agli altri, mostravano anche una capacità di torsione del ginocchio significativamente inferiore, una lunghezza del passo più breve e una ridotta percentuale di tempo di permanenza in postura altalenante.
Riassumendo
Pur con alcuni limiti dello studio (numero relativamente ridotto di pazienti sottoposti a valutazione biomeccanica), lo studio suggerisce come le performance raggiunte nell’attività fisica condotta, da sole, non sono sufficienti per ridurre le cadute e che sarebbe più appropriato mettere a punto degli interventi ad hoc per affrontare i deficit specifici biomeccanici nei pazienti con AR a rischio aumentato di caduta.
Fonte: Corriere nazionale.