La scoperta è frutto di un cambio di prospettiva: invece di concentrarsi sulle fasi acute dell’artrite reumatoide, i ricercatori hanno guardato alla fase di remissione, cercando di capire cosa succede nelle articolazioni dei pazienti che stanno meglio.
È l’etimologia a suggerirlo: l’infiammazione (dal latino inflammatio) ricorda a un incendio. Nel caso dell’artrite reumatoide (AR) ad “andare a fuoco” sono le articolazioni. Ora uno studio italo-britannico appena pubblicato suNature Medicine annuncia per la prima volta al mondo la scoperta di cellule “pompieri” in grado di spegnere l’incendio e avviare i lavori di ricostruzione. Si tratta di un tipo particolare di macrofagi “buoni” che si trovano in quantità più elevate nei pazienti con artrite reumatoide in remissione. In questa brevissima sintesi dello studio si intravedono già due potenziali applicazioni della scoperta. La prima: una terapia farmacologica che potenziasse l’azione dei macrofagi pompieri potrebbe favorire la remissione della malattia se non addirittura rappresentare una cura per la malattia.La seconda: conoscere la quantità di questi macrofagi “pompieri” sarebbe fondamentale per valutare l’andamento della malattia e decidere di conseguenza se scalare, aumentare o sospendere i farmaci prescritti. I macrofagi funzionerebbero come biomarcatori capaci di suggerire la cura giusta al paziente giusto.
La lotta tra “piromani” e “pompieri”
Questa importante scoperta è frutto del lavoro di ricercatori della UOC di Reumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, dell’Università di Glasgow e del consorzio britannico RACE (Research into Inflammatory Arthritis Centre ‘Versus Arthritis’). Tutto si deve alla decisione dei ricercatori di guardare alla malattia da una nuova prospettiva: invece di concentrarsi sulle fasi acute dell’artrite reumatoide, gli scienziati hanno puntato l’attenzione sulla fase di remissione, cercando di comprendere cosa succede nelle articolazioni dei pazienti che stanno meglio.E dopo quattro anni di ricerca hanno scoperto che all’interno delle articolazioni, più precisamente nel tessuto sinoviale che le avvolge, si svolge una vera e propria lotta intorno al fuoco, con cellule impegnate ad aizzarlo (i macrofagi “piromani”, le cellule “cattive” provenienti dal sangue che circola nell’articolazione che scatenano l’infiammazione) e cellule incaricate di spegnerlo (macrofagi “pompieri” quelli che sopprimono l’infiammazione). Su questo delicato equilibrio tra macrofagi piromani (chiamati MerTK negativi) e macrofagi pompieri (MerTK positivi) si gioca il destino dei pazienti con artrite reumatoide: se “vincono” i piromani, l, la malattia si acuisce, se i “pompieri” hanno la meglio, la malattia va in remissione.
L’artrite reumatoide vista da una nuova prospettiva
La scelta di studiare la fase di remissione della malattia pittosto che quella acuta si è rivelata vincente. Gli scienziati hanno infatti ricostruito il processo di riparazione dell’articolazione innescato dai macrofagi “pompieri”. Nei pazienti che vanno in remissione grazie alla terapia, i macrofagi “pompieri” prendono il sopravvento sui macrofagi “piromani” e spengono l’infiammazione. Ma non si fermano qui: istruiscono una serie di “operai specializzati” (i fibroblasti della sinovia) a riparare la membrana sinoviale danneggiata dalla malattia.«Nessuno aveva mai studiato prima la fase di risoluzione dell’artrite perché ci si concentrava piuttosto sulle fasi acute della malattia. Fino a qualche tempo fa inoltre il tessuto sinoviale veniva studiato nella sua globalità; adesso, grazie alla tecnica single cell, è possibile “spezzettarlo” e analizzarne le singole componenti cellulari individualmente. Noi ci siamo concentrati sui macrofagi, le cellule che insieme ai fibroblasti sono i normali “residenti” della sinovia e sono le prime cellule interessate nei processi infiammatori, che possiedono tutto un armamentario di citochine pro-infiammatorie (le “bombe Molotov” dell’infiammazione), prodotte in corso di artrite. Con la tecnica del single cell, siamo andati a studiare come si modificano le popolazioni di macrofagi nel corso della malattia, dalla forma attiva alla remissione”», ha spiegato – Stefano Alivernini, UOC di Reumatologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ricercatore di Reumatologia presso l’Università Cattolica, campus di Roma, primo autore dello studio e coordinatore scientifico della SYNGem Biopsy Unit.
Più “pompieri” o più “piromani”? Così si calcola il rischio di recidiva
«Con questa analisi abbiamo stabilito che se nella sinovia dei pazienti in remissione clinica la percentuale dei macrofagi “pompieri” è inferiore al 50 per cento del totale, il rischio di avere una recidiva alla sospensione del farmaco aumenta di 13 volte. Se il rapporto tra macrofagi MerTK positivi e MerTK negativi è inferiore a 2,5 volte, alla sospensione del farmaco il rischio di recidiva aumenta di 16 volte. Finora, nella decisione se scalare o sospendere la terapia nel paziente in remissione, ci si basava su criteri clinici, eventualmente corredati da un’ecografia articolare o da esami di laboratorio. Ma questo studio sulle biopsie sinoviali apre nuovi orizzonti soprattutto nell’ambito della medicina personalizzata. Questo studio aumenta le nostre conoscenze sull’atlante cellulare che caratterizza l’eterogeneità dell’infiammazione del tessuto sinoviale durante il decorso clinico dell’artrite reumatoide», ha affermato Elisa Gremese, coautrice senior dello studio e responsabile della SYNGem Biopsy Unit – UOC di Reumatologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e associato di Reumatologia presso l’Università Cattolica, campus di Roma –
L’importanza della biopsia sinoviale
«Riteniamo che nei pazienti con artrite reumatoide, la biopsia sinoviale vada proposta non solo all’inizio del trattamento, ma anche in fase di remissione, in quanto si associa ad un’elevata capacità prognostica nei pazienti che sospendono il farmaco. La “firma” del tessuto sinoviale in remissione profonda, quello che più si avvicina alla normalità, è la chiave per studiare quali potrebbero essere dei nuovi target terapeutici. La tecnologia single cell ci ha consentito di identificare alcune sottopopolazioni di macrofagi legate alla resistenza al trattamento e altre, collegate alla remissione sostenuta che, se potenziate, potrebbero agire come regolatori anti-infiammatori in questa malattia purtroppo debilitante. Dunque, integrando clinica e laboratorio nella SYNGem Biopsy Unit, l’uso della biopsia minimamente invasiva, applicata per la prima volta a diversi scenari clinici, e la caratterizzazione profonda del tessuto sinoviale, combinata a un’analisi senza precedenti, consentono di migliorare notevolmente le strategie per una gestione personalizzata dell’artrite reumatoide», conclude Gremese.
Fonte. Healthdesk