Ieri il primo meeting nazionale Fibromialgia, manca un centro qualificato per assistere i malati
«Sono tanti i sardi che soffrono di fibromialgia, patologia invalidante di origine sconosciuta, ma nell’Isola non esiste un centro di riferimento per la terapia. Per curarsi bisogna andare a Milano».
A denunciarlo è Ivo Picciau, presidente dell’Asmar (Associazione sarda malati reumatici), che ieri ha promosso all’hotel Regina Margherita il primo meeting nazionale sulla “sindrome del XXI secolo” che colpisce in Italia due milioni di persone con netta prevalenza femminile (9 a 1). «In Sardegna è difficile da diagnosticare e non esistono dati precisi, ma i casi sono numerosi», riprende Picciau, «ai cittadini che sospettano di soffrire di tale patologia consigliamo di rivolgersi al reumatologo. A fare la diagnosi possono essere anche altri specialisti».
I disagi maggiori riguardano l’assistenza. «L’acquisto dei farmaci è a carico del malato», riferisce Picciau, «il fibromialgico è costretto a impazzire tra percorsi terapeutici diversi, liste d’attesa e spostamenti da un ospedale
all’altro. Questo perché la malattia richiede un approccio multidisciplinare e la presenza in uno stesso luogo di più specialisti (psichiatra, fisiatra, gastroenterologo, reumatologo, ginecologo)». A Milano esiste un centro specializzato all’ospedale Sacco. «Da noi c’è il Brotzu, dove ci auguriamo possa sorgere un centro reumatologico con possibilità di assistenza multidisciplinare».
Al convegno è intervenuto Pier Carlo Sarzi Puttini, massimo esperto europeo in materia. «Chi sostiene che si tratta di una malattia immaginaria si sbaglia. La fibromialgia è una patologia definita, anche se non ne conosciamo le cause. Provoca astenia, insonnia, dolori in tutto il corpo peggiorando la qualità della vita nelle donne tra 30 e 40 anni».
«Ho 41 anni e la malattia mi è stata diagnosticata un anno fa», racconta Maria Antonietta Fenu, sassarese residente a Cagliari, «soffro anche di lupus. In certi periodi sto bene, in altri soffro. Ho mal di testa, dolori al collo, non dormo. Non prendo sedativi perché voglio restare lucida, ma devo ricorrere ad antidolorifici. Faccio esercizio fisico e mentale per evitare la perdita di concentrazione che è un altro sintomo. Sono un’infermiera. A causa della malattia non posso più lavorare in corsia, ora mi dedico all’archivio».
Paolo Loche